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NBA Playoffs - Philadelphia 76ers: Joel Embiid merita di meglio

13 MAGGIO
SPORT USA

Nelle ultime 5 stagioni i Philadelphia 76ers si sono sempre qualificati ai playoff, venendo però sempre eliminati al primo o al secondo turno. Il nuovo ciclo, con il motto ‘Trust The Process’ urlato a furor di popolo e Joel Embiid come uomo franchigia, sembrava promettere bene... Ma quest’anno è arrivata la pietra tombale sulla fine del fantomatico Processo. E il processo ai Sixers, ora, lo facciamo noi.

SPORT TODAY

Da Trust The Process… A F*ck The Process. Dopo cinque stagioni ai playoff concluse in maniera abbastanza fallimentare, possiamo ripeterlo con certezza: il progetto dei Philadelphia 76ers è fallito. Con buona pace di Joel Embiid che entusiasticamente lo aveva avviato, da rookie e franchise player, a suon di tweet hastaggati #TrustTheProcess ... Niente da fare, Joel: ce l’hai messa tutta, da (super)eroe ti sei messo pure una maschera per continuare a combattere anche contro “gli oltraggi, i sassi e i dardi scagliati dall’iniqua fortuna”, come una frattura all’orbita che lo ha costretto a saltare le prime due sfide della serie contro i Miami Heat in semifinale. Joel è rientrato a sorpresa già in Gara 3, per dare speranza ai compagni che in sua assenza erano andati sotto 2-0.

Poi è successo che Embiid, oltre alla maschera, si è caricato sulle larghe e possenti spalle il mantello e il peso della Città dell’Amore Fraterno. Il ritorno in campo del centro camerunense (presto forse anche di cittadinanza francese) è stato impattante a tal punto da riportare la serie in parità: Phila trionfa in Gara 3 e vince anche Gara 4, complice un James Harden in formato MVP nell’ultimo periodo. La squadra di coach Doc Rivers sembra essersi ritrovata e ritorna a Miami sul 2-2, palla al centro e tutto nuovamente in discussione.

Ma poi che succede? Si spegne ancora la luce. Certo, dinnanzi ai Sixers c’è pur sempre Miami, la miglior squadra della Regular Season a Est, finalista NBA nel 2020… Ma sul più bello Philadelphia, ancora una volta, si ferma al secondo turno non riuscendo a sfatare quel tabù chiamato Conference Finals… Nelle maledizioni non ci crediamo molto; al contrario, crediamo fermamente che la dirigenza dei 76ers abbia molto di cui rammaricarsi per alcune scelte fatte negli ultimi anni. Opinabili seduta stante, e non solo col senno di poi… senza mai realmente entrare nella serie. 

Quei draft gridano vendetta...

L’Anno 0 di The Process è il 2014, quando i 76ers draftano con la terza scelta assoluta Joel Embiid. Il pivot camerunense sarà poi costretto a stare ai box per due stagioni a causa di due operazioni per frattura da stress al piede destro. La stagione 2015/16 dei Sixers passerà peraltro alla storia come la peggiore di sempre per una franchigia NBA, considerato il record di 10 vittorie e 72 sconfitte a dir poco ridicolo. Questo, nonostante la terza scelta assoluta ottenuta anche al Draft del 2015, quando Sam Hinkie chiama un altro centro di origini africane ma di formazione statunitense: il nigeriano Jahlil Okafor. Un bust colossale… Come del resto lo era stato Nerlens Noel, sesta scelta assoluta nel 2013. Pensate che i Sixers scambiarono Jrue Holiday - sì, lo stesso che ha vinto da protagonista l’anello lo scorso anno con i Milwaukee Bucks - per assicurarsi il promettente lungo in uscita da Kentucky, che oggi gioca centro di riserva ai New York Knicks… Bene, ma non benissimo.Mentre Okafor che fine ha fatto? Ancora peggio: pensione anticipata, gioca in Cina...

E Carter-Williams, Rookie Of The Year proprio nel 2013 da 11a scelta dei 76ers? Una stagione da star, poi gli infortuni, infine l’oblio o quasi… 

Ma i disastri al Draft di Philadelphia non finiscono certo qui: nel 2016 e nel 2017, due prime scelte assolute al Draft NBA: Ben Simmons, le cui vicende saranno già più che note a chi ci segue… E Markelle Fultz, che è stato - suo malgrado - un Carter-Williams 2.0, martoriato dai problemi fisici… Poi nel 2018 Phila seleziona Mikal Bridges con la 10a scelta, ma scambiandolo subito ai Phoenix Suns in cambio del nulla (Zhaire Smith, che oggi gioca in G-League, e una prima scelta al Draft dello scorso anno, poi scambiata). Oggi Bridges è indiscutibilmente - insieme al Defensive Player of the Year Marcus Smart dei Boston Celtics e al già citato Jrue Holiday - il miglior difensore sugli esterni della lega. Due di questi, Philadelphia li aveva già in casa… E non è che difendono e basta: Bridges in questi playoff viaggia a oltre 14 punti di media, mentre Holiday scollina i 18 smazzando quasi 7 assist a serata. Not bad.

Ciò che rimane bad, molto grave, è la serie di disastri commessi al draft - e nelle trade che ne sono derivate - dalla dirigenza dei Philadelphia 76ers nell'ultimo decennio.

La rivincita di Jimmy: what if...

“Tobias Harris over me”. Questo quanto urlato, quasi ridendo, da Jimmy Butler rientrando negli spogliatoi stanotte, al termine di una Gara 6 che ha portato i suoi Miami Heat in finale a Est. Il riferimento di Jimmy è molto esplicito: non tanto nei confronti di Harris, bensì della dirigenza che ha preferito confermare l’ex Magic da terzo violino e salutare Butler. Rancoroso, problematico, non facile da gestire… Tutto quello che volete, ma di Jimmy Butler non si può non dire che abbia la competizione che pulsa forte nelle sue vene e che tra le eliche del suo DNA non ci sia incisa la parola ‘vincente’. E lo sta dimostrando a Miami, da leader maximo del gruppo. Oltretutto, Butler nel corso di questa serie playoff ha speso parole al miele, da fratello maggiore, nei confronti di Joel Embiid. L’ultima partita giocata insieme dai due è stata la leggendaria Gara 7 tra Raptors e 76ers del 2019, quando Kawhi Leonard segnò quell’incredibile buzzer beater che, se fosse rimbalzato fuori dal ferro, avrebbe spedito Butler, Embiid, Simmons e compagni in finale di Conference.Il punto più alto - e al contempo sfortunato - di The Process, è stato raggiunto senza dubbio nell’unica stagione che ha visto insieme, in maglia Sixers, Joel Embiid e Jimmy Butler. What if...

James Harden? Looks like Ben Simmons...

Prendiamo un altro virgolettato di questa notte, nella fattispecie di un amareggiato (per non dire incazzato…) Joel Embiid: “Non è stato il James Harden che ci aspettavamo di trovare: gioca più come playmaker adesso, in maniera diversa dai tempi di Houston... Avremmo potuto mostrare più aggressività come squadra”. A supporto della tesi di Embiid, le statistiche di Harden negli ultimi due quarti di Gara 6: 0/2 al tiro, zero punti. 0. Il Barba, l’MVP della stagione 2017/18, il miglior realizzatore della lega per tre stagioni di fila, tra il 2018 e il 2020… Che fine ha fatto quel James Harden che si ricordano molti appassionati di NBA e non solo Embiid? Chissà. Fatto sta che - eccezion fatta per Gara 4 - a Embiid non ha fatto molta differenza giocare con il Simmons dell’anno scorso e l’Harden di quest’anno. Poca personalità, pericolosità offensiva espressa in folate sporadiche… Troppo poco. La frustrazione di Joel Embiid è più che comprensibile ed è evidente che un giocatore del genere meriti degli sparring partner migliori. Nei paragrafi precedenti abbiamo menzionato Butler, Holiday… Giocatori di carattere e che sanno cosa serve fare per vincere. E loro lo garantiscono, sempre. 

È dunque fallimento del progetto 76ers. Tra il caso Simmons che per mesi ha tenuto banco, la trade che lo ha portato a Brooklyn in cambio dello stesso Harden - insieme alla coppia di dinosauri formata da DeAndre Jordan e Paul Millsap - e gli innumerevoli errori di valutazione sui giovani prospetti, Philadelphia ha sprecato un'occasione enorme di aprire un ciclo veramente vincente. Con questo Embiid, le speranze di titolo negli anni a venire non tramontano definitivamente, ma sarà necessario cambiare molto sia a livello dirigenziale che di roster, dove il solo Tyrese Maxey si distingue come nota veramente lieta per i 76ers del prossimo futuro. Il look iversoniano e le prestazioni esaltanti del numero 0 nei playoff promettono davvero bene… Joel Embiid può consolarsi con il giovane Tyrese, in attesa di un’altra probabile rivoluzione estiva in quel di Philly. 

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