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Sarà per quegli occhi piccoli ma dallo sguardo duro, o per quella fronte corrucciata e in generale per l’espressione sempre seriosa che tra Brunson e Bronson la somiglianza non è solo acustica, sebbene i due appartengano a due epoche e mondi dello spettacolo differenti.
Il numero 13 dei Mavs - due volte campione NCAA con i Villanova Wildcats e scelto da Dallas con la 33a scelta al Draft del 2018 - presenta infatti caratteristiche vecchio stile: è alto appena 185 cm, non ha braccia lunghe, non è particolarmente rapido quando attacca dal palleggio. È agli antipodi rispetto a quello che è il prototipo del giocatore del XXI secolo e anzi, sembra quasi appartenere a un’altra epoca. Eppure, la sua efficacia in campo è sbalorditiva e ha cominciato questi playoff da leader offensivo di Dallas, complice l’assenza nelle prime 3 gare di Luka Doncic.
Brunson sta infatti viaggiando a 28.6 punti di media nelle prime 5 partite, venendo impiegato per 38 minuti a match. Nelle 7 partite dei playoff dello scorso anno, le sue medie erano di 8 punti in 16 minuti. Ha del clamoroso l’innalzamento della qualità di rendimento del figlio di Rick, anch’egli ex cestista NBA e visto per una manciata di partite anche in Italia, nel 2004, con la maglia dell’allora FuturVirtus Castel Maggiore. Basti dire che Jalen Brunson è attualmente il sesto miglior realizzatore dei playoff! Meglio di lui solamente Jayson Tatum, Brandon Ingram, Jimmy Butler, Nikola Jokic e proprio Luka Doncic. Alle sue spalle altri candidati al premio di MVP stagionale come Giannis Antetokounmpo e Joel Embiid, scorers d’élite come Steph Curry, Devin Booker e Kevin Durant… Ha del clamoroso inoltre che sia stato l’unico giocatore ad aver scollinato quota 40 punti in una partita - segnandone 41 in gara 2 - fino a questo momento.
Insomma, gli Utah Jazz hanno due grossi problemi: il primo è fermare Luka Doncic, e fin qui nulla di nuovo. Il secondo invece non se lo aspettava nessuno: Jalen Brunson. Da semplice comparsa che non ruba l’occhio, alla ribalta come attore protagonista.
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