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NBA - Flop Lakers: cronaca di una disfatta annunciata

6 APRILE
SPORT USA

Il purple&gold dei Los Angeles Lakers è parte gloriosa della storia della NBA. Il 2021/22 della franchigia giallo-viola, però, è stato un totale disastro. Annunciato? Sì. Nonostante i Big Four: LeBron, AD, Russ e Melo. Capiamo perché.

SPORT TODAY

Il giallo-viola, associato alla National Basketball Association, rappresenta prestigio, spettacolo e mentalità vincente. 17 titoli NBA vinti, record conteso a pari merito con i Boston Celtics, gli storici rivali. Una lista infinita di campioni e leggende che hanno vestito quei colori: Jerry West, Elgin Baylor, Wilt Chamberlain, Magic Johnson, James Worthy, Kareem Abdul-Jabbar, Shaquille O’Neal, Kobe Bryant… Fino ad arrivare al passato recente e al presente con LeBron James, sul cui futuro si solleva invece un bel punto interrogativo.

Los Angeles sponda Lakers, quella che conta, è sempre stata casa dello show-time. Ma quest’anno lo show non è mai realmente iniziato. Tutt’altro. Quei colori giallo-viola stanno a rappresentare un triste epilogo del 2021/22 di LeBron e compagni: si è consumato un giallo sportivo, con il viola che assume dunque una tonalità ‘drappo funebre’ di fantozziana memoria. Come fantozziane sono state le performance stagionali dei Lakers... La morte (annunciata), è quella di un progetto messo in piedi senza un criterio logico e incapace quindi di decollare in maniera proficua. Il risultato, infatti, è una qualificazione ai playoff mancata clamorosamente. E soprattutto, un roster ridotto a una polveriera, che non aiuta certo a guardare al prossimo futuro con ottimismo.

Precedenti: i Big Four e la maledizione dei 9 anni

Per capire che questo progetto dei nuovi Big Four - LeBron James, Anthony Davis, Russell Westbrook e Carmelo Anthony - fosse destinato a non dare i risultati sperati, bastava guardare ai precedenti recenti. Tutti in casa giallo-viola, peraltro. E tutti, curiosamente, intervallati da 9 anni. Coincidenze? Chissà. Lasciamo a voi giudicare in base al vostro grado di superstizione.

Quel che è certo è che nel 2004 i Lakers di Kobe Bryant e Shaquille O’Neal, coadiuvati dai prestigiosi rinforzi estivi Karl Malone e Gary Payton - benché fossero entrambi al tramonto delle loro carriere da Hall of Famers - non riuscirono a vincere un titolo che sembrava essere decisamente alla portata della squadra di Phil Jackson. E invece ebbero la meglio i Pistons con un 4-1 decisamente rumoroso, che portò di fatto i Lakers a scambiare il big man più dominante della lega per ricostruire, con Kobe al centro di un nuovo progetto che, nel giro di pochi anni, fruttò ben due Larry O’Brien trophies in più ai Losangelini.

Bryant trovò infatti nel catalano Pau Gasol la spalla perfetta per tornare al successo, con il back to back del 2009-10. Poi nel 2013, per tentare un ultimo, disperato assalto al titolo, la dirigenza Lakers decise di fare carte false per portare in California un attempato Steve Nash e un Dwight Howard che - mettiamola così - non vedeva l’ora di godersi il suo contrattone all’ombra delle palme di Hollywood… Nuovi Big Four, nuovo fallimento: Lakers eliminati 4-0 al primo turno dei playoff dai San Antonio Spurs. Coda tra le gambe e nuovo rebuilding process al via, per poi venire interrotto nell’estate del 2018 per lo sbarco a Los Angeles di King James. Il bilancio dal suo arrivo a LA: nel 2019 niente playoff. Nel 2020 il titolo nella ‘bolla’ di Orlando, in memoria di Kobe... Nel 2021 l’eliminazione al primo turno per mano dei Suns (4-2). Ed eccoci qui, 2022. Lakers fuori matematicamente dal tabellone playoff a regular season non ancora conclusa. Anche stavolta, obiettivo fallito. Ancora una volta, a distanza di 9 anni, quattro stelle non portano la squadra non solo al titolo NBA, ma nemmeno vicino. Un nuovo disastro. Ma la colpa va davvero attribuita a loro?

Critica: too short, too old

Giocatori e staff tecnico hanno sicuramente le loro, evidenti colpe. Non riuscire, in 7 mesi, a creare una parvenza di gioco e di chimica in un gruppo squadra di alto livello è abbastanza grave. Specie se a guidarlo c’è un LeBron James che a 37 anni, alla 19esima stagione NBA, è in procinto di chiudere la stagione da miglior realizzatore dell’intera lega. E al suo fianco Anthony Davis, determinante nella vittoria di un titolo che i Lakers vincevano neanche 20 mesi fa… Eppure ne sembrano passati almeno il doppio, tanto è stato fragoroso il crollo.

La croce non la si può far portare solamente al terzo violino, quel Russell Westbrook fischiato regolarmente dai ‘tifosi’ dello Staples Center e ingiustamente visto come capro espiatorio di ogni sciagura della stagione Lakers. L’errore sta a monte: perché fare una trade per Mr. Triple Double, al prezzo di sacrificare metà squadra? Già da subito era evidente che i 44 milioni percepiti annualmente da Westbrook avrebbero ingolfato il salary cap dei Lakers, già gravato dai 41 milioni del contratto di James e dai 35 di Davis. Di margine salariale per costruire intorno a loro una squadra ben bilanciata non ce n’era: così i Lakers non hanno potuto fare altro che firmare veterani al minimo salariale e che di minimo hanno offerto anche il contributo alla causa giallo-viola… Non certo per colpa loro. Cosa ci si poteva aspettare dai vari Trevor Ariza, Kent Bazemore, Avery Bradley o DeAndre Jordan? Da diversi anni fuori dalle rotazioni delle contender al titolo?

Forse Rob Pelinka, GM dei Lakers, sperava nell’influenza positiva dell’intramontabile LeBron sugli altri vecchietti… La realtà, però, è che dalla fonte della giovinezza beve solo il Re. E a sprazzi fa bere il suo amico fraterno Carmelo Anthony, la quarta stella (cadente) di questi Lakers, alla quale però non si può imputare nulla. Melo il suo lo ha fatto e lo stesso si può dire di un maturato Howard… Maturato mentalmente, ma anche fisicamente. E qui tocchiamo un tasto dolente, perché non si può chiedere a una squadra di ultra 35enni di giocare 30 minuti di media a partita per 82 gare di stagione regolare! Sotto i 30 anni i Lakers - eccezion fatta per Anthony Davis che comunque ne ha 29 e anche quest’anno si è confermato injury prone - hanno avuto solamente Malik Monk e Talen Horton-Tucker. Quest’ultimo, parso oltretutto involuto.

Il risultato? Lakers scoppiati a metà stagione, dopo una prima metà comunque molto opaca. Seconda peggior difesa della lega dopo l'All Star break... Tutti indizi che evidenziano come il peso della maglia dei Lakers fosse distribuito solamente sulle spalle di una manciata di giocatori. 5, 6, 7... Troppo pochi e pure troppo in là con gli anni, per sostenere le fatiche, le responsabilità e le pressioni di una stagione intera.

Conclusione: Endgame

Insomma, a Los Angeles ha piovuto sul bagnato. Nella vicina Hollywood hanno provato con qualche effetto cinematografico a far sembrare l’edizione dei Lakers 2021/22 una nuova edizione degli Avengers, ma la realtà è stata ben diversa per coloro che l'hanno voluta vedere: per questi Lakers di Avengers resta solo l’Endgame. La fine dei giochi.

Il pubblico dello Staples Center fischia deluso: ci si aspettava un divertente sequel dello show-time tanto proclamato in estate… Quando in realtà si è assistito a un giallo vero e proprio. E il viola, come detto, assume tonalità drappo funebre. Ed ecco a voi, il funerale dei Los Angeles Lakers 2021/22.

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