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Valerio Bianchini, 80 anni all'avanguardia: "Il basket è evoluzione e rinnovamento"

21 LUGLIO
BASKET

Il coach che ha regalato il tricolore a Cantù, Roma e Pesaro spiega: "Oggi è un gioco noioso due contro due, il tiro da tre è troppo importante".

SPORT TODAY

Valerio Bianchini è il solo coach che ha conquistato lo Scudetto alla guida di tre sodalizi, Pesaro, Roma e Cantù.

"A 80 anni mi dedico finalmente alle mie passioni, gallerie d'arte, musica, letture, soprattutto saggi" esordisce il 'Vate' nella chiacchierata 'celebrativa' a 'La Repubblica' "Mio zio lavorava in un negozio di moda dove Bongoncelli, padrino del basket italiano moderno e dell'Olimpia Milano, portava i suoi giocatori a vestirsi; così cominciai a frequentare il Palalido, stavo dietro la panchina di Cesare Rubini e quando chiamava i time - out cercavo di capire che cambi avrebbe fatto, anche se per lui il basket era correre, tirare, difendere".

Ci sono ricordi di grandi sfide e di grandi avversari: "L'avversario più ostico? Dan Peterson, per glamour e valore, rappresentava Milano e la sua task force. Ci siamo confrontati molte volte, la sua difesa - laser con Mike D'Antoni metteva paura: l'ho battuto prima con una squadra di provincia, poi con quella della Capitale, che però non lo era nella pallacanestro. Era una Roma che si levava dalle spalle la polvere della città ministeriale, con Liedholm e Falcao nel calcio per esempio. Ho amato la Reyer Venezia di Tonino Zorzi e la Cantù di Taurisano, che aveva armonia e fluidità, nessuna rigidità di gioco e molta piacevolezza; ha sperimentato il 'triangolo' di Phil Jackson vent'anni prima degli altri e io sostengo l'orchestra guidata da grandi direttori".

Le solite 'stilettate' sono rivolte alla pallacanestro a stelle e strisce e al CT Pozzecco, con l'ammissione che un tempo gli USA era fonte di arricchimento per lo sport tanto amato: "Non amo un basket dove l'unica cosa che conta è fare canestro e prendere rimbalzi; apprezzo dell'America i college, la ricerca, la sperimentazione. Il basket è un gioco aperto che si svolge al coperto, ha favorito sempre evoluzione e rinnovamento, mentre il calcio è rimasto fermo a sé stesso. Quando Billy Bradley arrivò a Milano negli Anni 60, faceva stretching prima di allenarsi: solo a lui ho visto, prima della partita, tirare prima da sotto canestro, poi facendo un passo indietro e un altro ancora, fino a farne una decina; oggi con il tiro da tre si risolve tutto, si giocava cinque contro cinque, con il pick and roll è noioso confronto a due. Nel basket tutto è studio, non c'è nulla di naturale: bisogna imparare il gesto, leggere lo schema avversario, distribuire la palla in un modo sensato. Nulla contro il giocatore che va in panchina dopo il campo, ma preferisco l'esperienza fatta dal basso, come Recalcati, altrimenti è impoverimento e casualità. Petrucci ha scelto Pozzecco perché sa comunicare, si agita molto e piace alla gente: a volte può funzionare, ma un CT è altro, deve insegnare e fare scuola. Il basket si deve arricchire e non immiserire, ma come si fa quando le squadre in Serie A cambiano 10 giocatori su 12? Così un allenatore sceglie il tema che tutti conoscono, non ha tempo per altre note; non c'è più complessità, o avanguardia".

Valerio Bianchini

Getty ImagesAi tempi della Scavolini Pesaro

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