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Basket italiano: reset e superlega a 12 squadre. Il futuro è questo, punto.

17 FEBBRAIO
BASKET

Il basket italiano, quello di vertice, oggi ha bisogno di una pesante sterzata, a 180 gradi, per poter sopravvivere e prosperare.

GUIDO BAGATTA

Oggi parliamo di basket, quello nostrano, che dopo l’orgia delle sette partite in quattro giorni delle “Final eight” di Coppa Italia, si sta prendendo una meritata settimana di riposo, cortesia dell’inutile (soprattutto in questo delicato periodo) bolla della nazionale

Chi scrive (e chi mi conosce lo sa bene) per la pallacanestro darebbe anche un braccio, se ce ne fosse bisogno, quindi, quello che leggerete qui sotto deve essere preso come una constatazione, dura, ma pur sempre tale, piuttosto che una critica.

Il basket italiano , quello di vertice, oggi ha bisogno di una pesante sterzata , a 180 gradi, per poter sopravvivere e prosperare. E questa sterzata altro non può portare che ad una superlega di casa nostra con 12 squadre iscritte , senza retrocessioni ma semmai future ammissioni, ottenute queste, passando prima attraverso criteri ben precisi come bilancio , solidità della proprietà , campo di gioco ed area geografica di appartenenza .

Questi quattro principi dovranno per forza essere i pilastri di sostegno dello sport professionistico italiano in generale e del basket in particolare, non c’è altra soluzione.

Il futuro è questo, punto.

So che quanto state leggendo potrà far storcere il naso a molti di voi, ed è per questo che, per capirci meglio, mi rifaccio a due esempi, oramai lontani nel tempo, che però possono aiutare a comprendere meglio, come ciò che sembra assurdo ed impossibile al momento, può diventare invece nel futuro qualcosa di quasi scontato. Il primo vede coinvolto Rino Tommasi , il mio maestro di professione.

Recentemente mi hanno inviato un filmato del 1981, dove, su Canale 5, con Tommasi stavamo parlando di football americano. Durante quella conversazione, Tommasi, rifacendosi agli stadi della NFL aveva più volte sottolineato come il problema della violenza negli stadi italiani poteva essere risolto solo con tutti i posti all’interno degli stessi seduti e numerati (come da sempre accade in America).

Ai tempi, per l’Italia (ma anche per la civilissima Inghilterra), una eventualità del genere sembrava davvero un’utopia che si andava a scontrare con le abitudini del tifoso e con la disorganizzazione dei club. 
Oggi, è invece, come sapete tutti la norma.

L’altro esempio riguarda una mia conversazione, del 1989 con Lello Morbelli , storico general manager di Cantù , diventato poi presidente dell’ Olimpia Milano .

Morbelli era un uomo di vedute che allora sembravano quasi impossibili da realizzare, ma sul futuro del basket in televisione aveva idee che non consideravano quello che sarebbe successo qualche mese più tardi, con l’avvento, in Italia della pay tv.

Per lui la pallacanestro avrebbe dovuto sempre rimanere in chiaro e sulla Rai, altrimenti, gli sponsor sarebbero scappati tutti a gambe levate. Avevamo discusso ma non ero riuscito a smuoverlo di un passo dai suoi concetti, che poi erano l’espressione del basket intero di quel periodo. 
Tutti sappiamo poi cosa è invece successo: e vi sto parlando di Lello Morbelli, non del capo degli ultras di una club qualsiasi.

Ho fatto questi due esempi per dimostrarvi come determinate proposte innovative, che al momento possano sembrare irrealizzabili per mille motivi, una volta messe in essere diventano parte della nostra vita. 
E se la pallacanestro di vertice vuole sopravvivere a tutto quello che sta accadendo, la Superlega è l’unica soluzione.

In televisione il pubblico non necessariamente tifoso, ma comunque appassionato, vedrà sempre più volentieri quattro volte Milano-Bologna che invece andata e ritorno di, che so, Milano-Parma (per citare una città dove il basket non ha mai fatto presa, non facendo così torto a nessuno).

Il secondo problema della pallacanestro è invece quello del cosiddetto “self marketing”, ovvero dell’assoluta mancanza di personaggi che escano dal rettangolo di parquet e che possano essere riconosciuti ed identificati dalla gente comune, quella che il basket lo segue, ma distrattamente. 
Una volta c’erano i Peterson , i Meneghin , i Pozzecco , che per vari motivi, molto differenti tra loro, avevano fatto uscire la pallacanestro dal suo cortile dove è imprigionata da oramai troppo tempo.

Per capire meglio questo concetto, considerate Milos Teodosic , per molti il miglior giocatore del nostro campionato. Per le strade di Bologna il serbo che, almeno tecnicamente sta alla pallacanestro italiana, come Ronaldo al calcio, fa fatica a camminare tanta e la gente che lo ferma per un selfie o un autografo.

Ma se prendete Milos e lo portate, per esempio, a Milano, in corso Vittorio Emanuele, sono pronto a scommettere che se una persona lo fermerà, sarà già un successo (ovviamente in un periodo dove i visi non siano seminascosti dalle mascherine).

Questo per dire che il Basket italiano (e la Lega che su questo argomento è stata da sempre latente) deve lavorare sui suoi personaggi, sulle sue star. 

E’ venuto il momento di comunicare il prodotto, altrimenti si scompare.

E credetemi, di “facce da basket” da far vedere in giro, ce ne sono, eccome: basta usarle bene e nel modo giusto.

GUIDO BAGATTA
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