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A La Gazzetta dello Sport, l'altista azzurra Alessia Trost ha raccontato come ha vissuto l'ultimo periodo in vista delle Olimpiadi: "L’avvicinamento a Tokyo nasce da un anno di ripartenza, alla fine dell’ultima stagione il mio fisico era al 50% delle sue possibilità. Ho lavorato molto per ritrovare la serenità necessaria, dal punto di vista sportivo e personale. La testa è già in Giappone, darò il massimo".
Una passione nata fin da subito: "Quando ho iniziato con l’atletica ero davvero piccola, mio padre era un podista e ho fatto un sacco di gare di mezzofondo. Poi ha cominciato ad allenare una squadra di ragazzi e l’ho seguito. L’atletica ha accompagnato la mia crescita, anche se sono sempre stata iperattiva. Ho provato con il nuoto senza successo (ride, ndr), e con il biathlon. Mi piaceva molto, ma è stato difficile praticarlo non abitando in montagna".
Migliorare nel salto in alto non è semplice, come spiega Alessia Trost: "Bisogna analizzare le proprie performance per individuare i punti deboli e capire se le mancanze sono tecniche, fisiche, di approccio o di condizione generale. Solo allora si può cominciare a lavorare. Se le motivazioni sono tecniche è più facile intervenire, ma serve tempo per correggere un automatismo, aumentando per esempio l’ampiezza di un passo. Anche se il problema è nella preparazione fisica ci vuole pazienza, ma non è difficile impostare un blocco di lavoro per limare le imperfezioni"
Tutto è iniziato nel 2013: "Al Meeting internazionale di Třinec, in Repubblica Ceca, ho toccato i 2 metri (terza italiana a riuscirci dopo Sara Simeoni e Antonietta Di Martino, ndr). Avevo sempre vissuto alla giornata, ma da lì l’obiettivo è diventato restare a certi livelli e portare a casa una stagione saltando in quel modo con costanza. Quest'anno? Prima gara della stagione subito un salto di 1,93. Atterrando sul saccone ho sentito un brivido, si è riacceso un fuoco dentro di me. Ho capito di essere ancora in grado di competere, è stata la sensazione più bella".
Getty ImagesTrost