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40 anni dopo, è ancora magia Superbowl

8 FEBBRAIO
SPORT-USA/NFL

Domenica notte l'America (e non solo) si ferma per Cincinnati Bengals vs Los Angeles Rams.

GUIDO BAGATTA

Sono passati quarant’anni. Non ho perso il conto forse solo perché fa numero tondo. La sedicesima edizione del Superbowl, la mia prima, si giocava a Detroit, anzi a Pontiac, in mezzo al nulla, cinquanta chilometri dalla “Motor City”. Al coperto, sotto il tetto del Silver Dome e meno male, anche perché fuori c’era meno venti, stabile. In campo Cincinnati e San Francisco, entrambe alla loro prima esperienza in una finale. Come saprete, se seguite il football americano anche solo marginalmente, da quell’incontro nacque il mito di Joe Montana e dei 49ers e non certo quello di Ken Anderson e dei Bengals, che non entrarono mai in partita. il destino ha voluto che le due squadre, si rincontrassero poi ancora sei anni dopo, con lo stesso finale e con la sola differenza che alla guida di “Cinci” c’era, invece di Anderson, un giovane Boomer Esiason, ora affermato analista televisivo. Anche lui, però, dovette soccombere a San Francisco e al braccio di “Golden Joe”. Quest’anno, quaranta stagioni dopo, siamo andati vicinissimi ad avere il terzo re-match tra le due squadre, peccato che Sammy Garoppolo abbia rovinato la festa un po’ a tutti, maniaci della cabala compresi, dimostrando, se ce ne fosse bisogno, che Montana era un’altra cosa. In finale al posto dei Niners ci sono così arrivati i Rams, i loro “nemici” storici, anche se decisamente meno titolati, avendo vinto un solo Superbowl, tra l’altro quando erano a st. Louis e non in California. Loro, i Rams, partono da netti favoriti, anche perché, nei mesi che hanno preceduto i playoffs, hanno fatto e speso tantissimo, per portarsi a casa tanti veterani in grado di farli vincere immediatamente, tra l’altro tra le mura amiche del “Sofi stadium”. Ma tant’è, nella città degli angeli, vogliono tutto e subito, un po’ come per quelli che vanno sul tappeto rosso e poi vincono l’Oscar. L ‘ipotetico divario tra le due squadre è anche dettato dalla difesa che, come dice un detto molto praticato: “Vince le partite, mentre l’attacco vende i biglietti. “E se, in casa giallo blu si parla di difesa, il primo nome che viene in mente, è sicuramente quello di Aaron Donald, “by far” il miglior giocatore al mondo “dall’altra parte del pallone”. Se non era per Donald, nonostante l’eccellente play-offs del quarterback Matthew Stafford, i Rams, questo Superbowl, se lo sarebbero guardato dal divano di casa, lui, un metro e novanta per 130 chili, ha invece imposto la sua legge, alla quale i 49ers hanno dovuto soccombere. E se di qui c’è il buon Donald, di là, nel senso dell’attacco, Los Angeles tra i tanti, ha in Cooper Kupp, un altro “game changer”, uno dei ricevitori più immarcabili che si ricordi, soprattutto dopo aver ricevuto l’ovale.

Detta così, per Cincinnati, la partita dovrebbe avere pochissime chance, ed invece, nonostante ne dicano quelli che a Las Vegas studiano anche la forma dei tacchetti dei giocatori in campo, i Bengals potrebbero ribaltare il tutto usando solo un semplice asse, quello che unisce le loro due star principali: Joe Burrow e Ja’ Marr Chase. Quarterback e ricevitore (con Kupp, anche lui tra i migliori in assoluto) come insegnano i vecchi libri di football. Due che si conoscono bene da anni, avendo frequentato anche la stessa università, due che, man mano che il campionato a preso corpo, si sono trovati sempre di più, anche ad occhi chiusi. Loro sono il vero segreto per la presenza di Cincinnati in finale.

Quarant’anni fa, affrontavo a 21 anni, la mia prima telecronaca “da adulto”. Adesso, se vi farà piacere, ci troveremo su Rai 1: l’età è leggermente cambiata, la passione per il football, quella no, garantito.

GUIDO BAGATTA
Los Angeles Rams NFL 2022

Getty ImagesLos Angeles Rams NFL 2022

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