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Dwamena, la tragedia poteva essere evitata: la rivelazione del medico

14 NOVEMBRE
CALCIO/CALCIO INTERNAZIONALE

Il 28enne attaccante ghanese è morto in Albania durante la sfida tra Egnatia e Partizana Tirana. Soffriva di aritmia dal 2019. Il cardiologo svela alcuni retroscena

SPORT TODAY

Raphael Dwamena, 28enne attaccante ghanese dell'Egnatia, è morto sabato scorso durante il match contro il Partizani Tirana. Nel 2019, nell'ambito del trasferimento dal Zurigo al Brighton, aveva scoperto di soffrire di aritmia e aveva avuto altri malori in campo che non l'avevano però costretto a ritirarsi dall'attività. Sabato, però, nonostante la corsa in ospedale, non c'è stato nulla da fare. Una tragedia annunciata secondo quanto dichiarato dal cardiologo Antonio Asso Abadia, il medico che lo ebbe in cura quando passò dal Saragozza in prestito dal Levante, in una lettera aperta pubblicata sull'Heraldo de Aragon

La lettera del cardiologo

«Conobbi Dwamena nell'ottobre del 2019 – scrive il cardiologo – quando il medico del Saragozza mi chiese un parere, preoccupato per i frequenti giramenti di testa sofferti dal giocatore nelle ultime partite. Mesi prima gli era stato applicato un minuscolo monitor sottocutaneo e i valori erano inequivocabili a proposito della relazione dei sintomi con gravi aritmie ventricolari che si producevano durante le partite. Riuscimmo a convincerlo della necessità dell'impianto di un defibrillatore per cercare di salvargli la vita, e allo stesso tempo gli sconsigliammo la pratica sportiva a livello professionale. Gli dissi che in un futuro avremmo potuto provare a correggere il difetto con un'ablazione, ma che per farlo doveva rimanere vivo, da qui la necessità del defibrillatore»

La scelta di Dwamena

«Raphael era un gran ragazzo - continua -, nobile e con uno sguardo pulito, non si dava arie da star. Si fece mettere il defibrillatore e lasciò la Spagna. Per un po' ci siamo sentiti, mi chiedeva consigli che gli davo volentieri, anche se ero cosciente del fatto che non mi ascoltasse: voleva continuare a tutti i costi la sua carriera sportiva e persi la speranza di poter influire nelle sue decisioni. Poi l'ho perso di vista. Un paio di anni fa mi dissero che durante una partita il defibrillatore gli aveva salvato la vita facendo il suo lavoro per fermare un'aritmia maligna (era un incontro della coppa austriaca, ndr), e circa un anno fa seppi che si era fatto togliere il defibrillatore, in Svizzera se non sbaglio». Questo disse Dwamena al giornale elvetico Neue Zurcher Zeitung: «Se muoio, è per la volontà di Dio. Me ne vado e basta, dimenticato. Le persone che mi sono vicine saranno tristi per alcune ore, magari qualche settimana, però supereranno la cosa e andranno avanti. Non vivo per compiacere la gente, ma solo Dio».

Una tragedia annunciata

«Aveva deciso di porre tutta la responsabilità della sua vita nelle mani proprie e in quelle di Dio, nel quale credeva ciecamente - prosegue il cardiologo -. Da quel momento ero perfettamente cosciente che un giorno sarebbe successa la tragedia che si è consumata sabato in Albania. Raphael è morto a conseguenza di una decisione personale, però se non si fosse tolto il defibrillatore oggi sarebbe ancora vivo. È il finale di una storia triste e prevedibile. A volte le notizie sono confuse, e conviene chiarire per le migliaia di pazienti che portano con fiducia nel proprio corpo un defibrillatore, che non è morto qualcuno che aveva il defibrillatore, ma qualcuno che non lo aveva».

Raphael Dwamena

Getty ImagesRaphael Dwamena

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