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Anche nel parlare dell’incubo Coronavirus (“L’ho avuto tre volte, asintomatico e forte, ma è capitato quasi a tutti”) o dei rapporti con i colleghi, a partire da quel Wout Van Aert con il quale Sagan si è scontrato verbalmente all’ultimo Tour de France: “Evenepoel è un ottimo ambasciatore per il ciclismo, sono contento abbia vinto il Mondiale - ha detto il corridore della TotalEnergies - Van Aert invece mi ha deluso, è un grande campione, ma al Tour mi ha insultato e non si è ancora scusato. Aspetto che lo faccia, certo non lo vado a cercare io”.
Quello di oggi non è comunque più il Sagan "incendiario" di inizio carriera, anche grazie alla paternità: "Al Mondiale ho chiuso solo settimo, non è il massimo, ma evidentemente non sono riuscito a fare meglio. Devo guardare avanti, la fiducia di poter lottare ad altissimi livelli c’è sempre, altrimenti avrei già smesso. Comunque a 33 anni il ciclismo per me non è più una sfida, ma una bella esperienza. Il ciclismo passa, la vita resta ed è bello anche stare con le persone. Mio figlio Marlon è la vittoria più bella della vita".
Infine un pensiero alla tragedia di Rebellin: "La morte di Rebellin mi ha colpito, rispetto a 10 anni fa è molto più pericoloso andare in bici, ci sono auto ovunque e tutti usano la tecnologia. Non è l'unica ragione, ma una delle cause".
Getty ImagesPeter Sagan