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"Non potevo stare fuori 200-230 giorni. Ora valuterò delle proposte che accetterò non prima del 2022 - dice il sardo di Villacidro -. Ma sarà un lavoro che mi deve tenere lontano da casa al massimo 30 giorni. Nel futuro vedo il matrimonio e l'allargamento della famiglia per dare a nostra figlia una sorellina o un fratellino".
Anche ieri però Aru era in sella: "Mi piace fare sport, ero in giro con gli amici di Villacidro. Con orari diversi rispetto a quando mi allenavo per le competizioni. Ora mi muovo in orari prima impensabili, alle 14 o alle 18. Ogni giorno faccio qualcosa. A un certo punto sono diventato un'azienda: tanti impegni anche fuori dagli allenamenti e dalle gare. Nel corso degli anni ho avuto bisogno di collaboratori pagati da me. Qualcuno mi ha deluso, sono rimasto ferito".
Cos’ha insegnato il ciclismo ad Aru? “A non mollare mai, tante volte in questi anni avrei voluto mollare ma non l'ho fatto. Mi piace ricordare l'ultima squadra (la Qhubeka Assos, ndr): è stata la più bella. In altri team, forse è inevitabile, ci sono cose belle, ma anche invidia. Qui mi sono sentito in famiglia: se non avessi smesso avrei continuato con loro".
Un po' di nostalgia verso un altro ciclismo: "Si parla troppo di numeri legati ai misuratori di potenza: una salita diventa un insieme di cifre. Io direi che almeno prima del professionismo possiamo fare a meno dei misuratori di potenza perché si rischia di non ascoltarsi e di perdere certe sensazioni". Significativa la conclusione sull’alimentazione: "Da quando ero giovanissimo non ho potuto mangiare a Natale e Capodanno come tutti gli altri: ora con gli amici abbiamo mangiato un maialetto".
Getty ImagesFabio Aru