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Resta la sensazione di una distanza siderale dai nostri avversari
“Non siamo noi a fissare lo standard ma gli All Blacks, l’Inghilterra, l’Irlanda, il Galles, queste squadre qui. C’è preoccupazione perché non siamo competitivi, ma la prima cosa è avere degli atleti di livello. Rispetto a queste Nazioni il percorso di formazione è diverso, lì lo sport è materia scolastica, da noi si fanno tre allenamenti la settimana, la sera, da 90 minuti, e in quel tempo bisogna fare il lavoro aerobico, anaerobico, tecnico e bisogna pure dare la gioia del rugby. Difficile competere così”.
E quindi come si fa?
“Ho una foto di Italia-Sudafrica 20-18 del 2016: in quel gruppo c’erano 18 ragazzi passati per il percorso di sviluppo dell’intensità fatto a Treviso. Ci eravamo accorti di aver bisogno di atleti, di competenze fisiche prima ancora che tecniche. La strada è quella. Prima bisogna lavorare sul fisico, poi tecnicamente ci adattiamo”.
Avete un sistema di analisi dei dati che mette insieme Gps, lavoro in palestra e allenamento tecnico. Può spiegare?
"Misuriamo tutto, individualmente e collettivamente, dai chili sollevati ai metri corsi in campo. Nell’arco degli 80 minuti siamo passati da 91 a 131 km percorsi collettivamente. È un sistema tutto nostro visto che, per i motivi che elencavo prima, la formazione degli atleti del rugby italiano è diversa”.
A cosa serve questo lavoro?
“A misurare la crescita e a fissare gli standard richiesti per chi si avvicina al livello internazionale. Ora i ventenni come Trulla, Garbisi, Mori, Lamaro sanno di cosa serve per competere a quel livello e possono fare da riferimento a chi si avvicina al rugby internazionale”.
Un permit player che sale dal Top 10 al Pro 14, quanto è lontano da questi standard?
“La differenza è enorme, il livello è dieci volte più alto. Per questo dico che occorre iniziare questo percorso quando i ragazzi hanno 16-18 anni”.
Quanti dei ragazzi titolari oggi potranno esserlo tra otto anni?
“Tanti. Quelli che ora ne hanno 24 o meno saranno competitivi. Garbisi, Trulla, Mori, Lucchesi, Zanon, Lamaro, i piloni Fischetti, Zilocchi e Riccioni e molti altri. Questo gruppo può stare insieme a lungo. Ma occorre concorrenza, ci servono 45 giocatori di livello internazionale che si tirino l’un l’altro”.
C’è da fare i conti anche con il presente.
“Le aspettative sono tante. Ripeto, si lavora per vincere ogni sabato, ma se voglio battere il Galles devo essere preparato fisicamente a farlo, e se mi sento pronto fisicamente posso esserlo anche mentalmente. Io non sono qui per dare una o due vittorie all’Italia, ma per costruire un modo di fare, uno stile di gioco, un percorso per giocatori e allenatori per tornare competitivi ed esserlo per sempre. Abbiamo tre obiettivi: vincere, giocare in un modo che renda orgogliosi i tifosi e avere uno stile nostro, non copiato, cercando di essere imprevedibili, di fare qualcosa di inaspettato. In questo Sei Nazioni abbiamo segnato alcune mete di ottima qualità e lo abbiamo fatto con ragazzi di vent’anni. Gli altri allenatori si sono complimentati. Se non giochiamo così sbagliamo perché è dura fare solo a braccio di ferro con certe squadre. Dobbiamo insistere lì dove siamo forti”.
Getty ImagesFranco Smith