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Alex Schwazer racconta le sue verità nella sua autobiografia

16 NOVEMBRE
ALTRI-SPORT/ATLETICA

Il marciatore altoatesino dopo la mancata partecipazione a Tokyo 2020 si racconta in "Dopo il traguardo" edita da Feltrinelli.

SPORT TODAY

Sono stati pubblicati dai media, tra cui anche la Gazzetta dello Sport, alcuni stralci dell’autobiografia di Alex Schwazer intitolata “Dopo il traguardo” ed edita da Feltrinelli. Il marciatore azzurro si racconta a tutto tondo ammettendo le sue colpe, nominando anche la sua ex fidanzata, la pattinatrice di figura Carolina Kostner, ma anche rammaricandosi per la mancata partecipazione a Tokyo 2020. "Non è la confessione di un diavolo e neppure l’apologia di un angelo - si legge nell’introduzione -. Chi vuole leggere la biografia di un uomo senza peccati ne deve scegliere un’altra, non la mia”.

“Innsbruck-Vienna, Vienna-Antalya. A Carolina Kostner e ai miei genitori ho detto che sarei andato a Roma, alla Fidal - scrive poi Schwazer - Ho tenuto il cellulare acceso anche di notte per evitare che partisse il messaggio della compagnia telefonica turca. Ragionavo già da tossico. O meglio, sragionavo. Ed ero pronto a mentire, perché doparsi vuol dire anche mentire”.

“Mi ha mandato (Carolina, ndr) un messaggio per invitarmi a una festa a Ortisei, per l’argento di Göteborg, il suo primo, vero, grande successo (la gardenese fu seconda ai Mondiali del 2008 nella città svedese, ndr). Ancora non ci conoscevamo. Le ho risposto che dovevo allenarmi e, per non fare brutta figura, mi sono offerto di andare a trovarla a Torino. Dopo una pizza e due bottiglie bevute quasi da solo, le ho rovesciato il drink addosso. Abbiamo fatto le cinque del mattino. Eravamo in sintonia. La mia solitudine era molto simile alla sua”.

“Forse l’estate scorsa, con l’assoluzione giuridica e il no alle Olimpiadi, mi è scattato qualcosa dentro e ho deciso di chiudere i conti con il passato. Mi sentivo pronto - ha aggiunto il 36enne altoatesino in un’intervista al Corriere del Veneto -. Ho dato il libro a Sandro (Donati, ndr), il mio allenatore, a Gerhard (Brandstätter, ndr), il mio avvocato, chiarendo subito: non aspettatevi un libro d’inchiesta perché parlo solo della mia vita. Non sarei riuscito a trovare la motivazione per scrivere cinquanta pagine su come ho vinto a Pechino, sul doping o su quello che è successo a Rio nel 2016. Molti punti cruciali della mia storia sono stato volutamente soft: non volevo che la mia autobiografia ospitasse pensieri di odio e rancore. Non ho concesso spazio alle persone che mi hanno ferito o a chi è salito sul carro del vincitore per poi scenderne appena le cose sono andate male”.

“Quando ho toccato il fondo, mi sono chiesto come mi fossi cacciato in quella situazione - scrive poi Alex nella sua autobiografia -. Quel giorno ha segnato la rinascita dell’uomo che avevo dentro e che da tanto tempo non trovava spazio per uscire. Quel giorno ho capito di essere in un labirinto immenso e apparentemente senza via d’uscita, nel quale brancolavo da anni. Un labirinto nel quale avevo perso tutto. La persona che ero, la mia fidanzata, la credibilità, la dignità. Solo ora ne sono uscito. Sono sopravvissuto a un’imboscata, una macchinazione subdola e crudele che in altri momenti mi avrebbe annientato. Ancora oggi, a distanza di cinque anni, non so come ho fatto a mantenere l’equilibrio. Questa è la storia che voglio raccontare”.

Alex Schwazer

Getty ImagesAlex Schwazer

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